I più importanti riguardano:
– La domenica delle Palme:
“tradizione tipica castellese” ove sono coinvolti tutti i bambini da 0 a 10 anni, i quali insieme ai genitori, partecipano ad una processione mattutina che si snoda nell’abitato; tutti tengono in mano un ramo d’ulivo, abbellito con ciambelle di varie forme e nastri multicolori. I partecipanti alla processione fanno una prima sosta in piazza D’Azeglio per la benedizione dei rami d’ulivo poi si portano alla Chiesa Parrocchiale per la Messa. La ciambellina tipica della “domenica delle palme” è composta da ingredienti semplici quali “farina, uova, zucchero” ma non mancano integrazioni ed abbellimenti con confetti, e pallini zuccherati.
– Processione del Venerdì Santo
La processione parte dalla Chiesa Parrocchiale e si snoda per l’abitato. Il percorso è illuminato da fiaccole. Il Corteo è composto da vari figuranti, dalla rappresentazione del Cristo con la croce e le catene, alle veroniche, ai soldati a cavallo, seguito dalle Confraternite dei SS. Patroni e della Madonna di Loreto: che portano a braccia, la statua del Cristo morto e della Madonna.
La Banda Musicale accompagna il percorso con brani funebri.
Tutta la cerimonia è seguita dal religioso silenzio e partecipazione della popolazione intervenuta.
SCRITTO DEL PROFESSORE GUERRINO MARTELLINI 13.04.17
Pasqua tradizioni e consuetudini.
PASQUA…TRADIZIONI E CONSUETUDINI CASTELLESI (Repost) Con la domenica delle Palme hanno inizio i riti cristiani della Pasqua. Nella messa solenne domenicale, grande evento profondamente religioso e nello stesso tempo spettacolare: i bambini tengono in mano ramoscelli d’ulivo a cui sono appese le “ciammellette” legate con fiocchi rosa (le bambine), con fiocchi celesti (per i maschietti). E’ una tradizione esclusivamente castellese, un vanto per il nostro paese. Semplice la ricetta delle “ciammellette”: farina, zucchero e uova, buccia di limone grattugiata ed olio di oliva. A questo punto ritengo opportuno aggiungere un rilievo di particolare importanza storica: le ciammellette sono azzime, senza lievito, proprio come richiede la tradizione culinaria degli ebrei. Ebbene, come ho già evidenziato in un precedente articolo dal titolo “Ghetto” (toponimo del nostro centro storico), nel 1492 nel territorio di Nepi arrivarono gli ebrei cacciati dalla Spagna. Sull’argomento ho consultato il sito “I cognomi degli Ebrei in Italia”. Con sorpresa, ho notato che ce ne sono anche nel nostro paese. Ricordo: Galletti, Mariani, De Angelis, Graziani, Marini, Moretti, Neri, Vitali. Il connubio innocenza dei bambini ed il ramoscello dell’ulivo suscita grande emozione e nello stesso tempo sollecita alcune riflessioni. L’ulivo è simbolo di pace e di riconciliazione con Dio (la colomba del Diluvio Universale, l’ingresso trionfante di Gesù a Gerusalemme) Non si direbbe, ancora oggi assistiamo inerti agli orrori delle guerre. Il nostro grandissimo Papa Francesco parla di una terza guerra mondiale “a pezzi”. C’è da riflettere e molto.
Nell’arco della settimana le donne del nostro paese erano particolarmente impegnate nella preparazione dei dolci tradizionali. In casa si preparavano le ben note pizze di Pasqua. L’impasto, lavoro molto faticoso, avveniva nella “sivola” (recipiente in terracotta smaltato all’interno e colorato di verde e di bianco). Per la cottura al forno si usavano le ramine. Altri dolci tipici erano le crostate e i freddoni; questi ultimi sono un prodotto raro e costoso, esclusivamente castellese, a base di ricotta e cannella. Vengono particolarmente apprezzati per la loro bontà e squisitezza.
La lavanda dei piedi caratterizza la liturgia del Giovedì Santo. Segue il Venerdì Santo. Le campane non suonano, sono “legate”. Una volta erano i ragazzi a scandire, in sostituzione delle campane, i momenti più importanti della giornata. Si andava per le vie principali del paese, armati di “regole” (una tavola di piccole dimensioni a cui venivano fissati due ferri mobili, che producevano un frastuono caratteristico). La ciurma era guidata da un capobanda, che, ad intervalli lungo il percorso, alzava la “regola” e gridava:” Sona mezzogiorno..” Seguiva l’assordante fragore delle “regole”, che esaltava noi sonatori. Sicuramente l’evento liturgico più importante della giornata era ed è la processione del “Cristo Morto”. Sfilano figuranti: la Veronica, interamente vestita di nero con il volto coperto (d’obbligo l’anonimato); Il Cireneo, con sulla spalla una pesante croce; segue uno dei due ladroni, che trascina con il piede una pesante catena. Il catafalco del Cristo Morto e la statua della Madonna Addolorata sono portati a spalla. E’ inutile evidenziare come la processione sia particolarmente sentita dai credenti, anche dai non credenti; a ciò si aggiunga il rilevante effetto scenico. Le donne, accompagnate dal suono della bada, cantano: “Gemente e desolata (la Madonna) /Gerusalemme ingrata/uccise il tuo Gesù!” Ritornello: “Immenso il tuo dolor/ Vergine beata/ provoca il mio cuor/ a lacrimar con te / a lacrimar con te!” La banda musicale suona ancora oggi la marcia funebre. A proposito, concedetemi una divagazione. Giuseppe Bernardo Doebbing, vescovo di Nepi e Sutri (1900-1916), vietò la marcia funebre durante la processione del venerdì santo e l’esecuzione di concerti nelle chiese. Volle anche che fossero ritirate le reliquie non autentiche.
Il Sabato Santo si caratterizzava per la benedizione delle case in una sola giornata. Il parroco aveva la collaborazione dei padri francescani. Ogni famiglia durante la settimana santa provvedeva alla pulizia generale della casa, generalmente composta da due modeste stanze: cucina e camera da letto. Si usava il termine dialettale “spulinare”. Le donne toglievano le ragnatele con un mazzetto di piccasorgi (pungitopo); ripulivano le pentole annerite all’esterno della casa con la pozzolana. In casa non c’era l’acqua corrente. La si attingeva alle numerose fontane pubbliche. Il secchio dell’acqua veniva riposto sul “guarecciaio”, un muretto alto circa un metro ricoperto da una tavola di legno. Per l’arrivo del prete si imbandiva la tavola: una pizza di Pasqua, i freddoni, un “filo” di pane, una bottiglia di vino con il tappo di vetro, carne d’agnello da cuocere, uova lesse. Anche la camera da letto veniva messa a nuovo. Si provvedeva a stendere sul letto una coperta bianca finemente ricamata; le stesse caratteristiche avevano le federe dei cuscini. Dopo la benedizione, si donavano al prete alcune uova, che noi chierichetti prontamente deponevamo nell’apposito cesto. A questo punto voglio dirvi qualcosa sulla mobilia di quelle modeste stanze. Componevano la cucina: la cristalliera, la “mattra” dove si impastava il pane, il tavolino dove si mangiava. Erano autentici esempi di arte povera, che colpiscono per la semplicità dei lineamenti, per questo piacevoli. Era il legno usato ad essere povero: l’abete, il castagno, il pino. Mi si consenta di menzionare la “razza dei Graziosi”, capostipite Ugolino, falegnami del paese, autentici artigiani. Il capostipite Ugolino Graziosi non era di origine castellese. Veniva da fuori. Tali erano le sue abilità artigianali, da realizzare le porte massicce, ben lavorate e rifinite, del convento del Santuario, che ancora oggi possiamo ammirare ed apprezzare.
Il Sabato Santo si caratterizzava per la veglia pasquale. All’esterno della chiesa il sacerdote ufficiante accendeva il cero pasquale cantando in latino: “Lumen Christi gloriae resurgentis dissipet tenebras cordis et mentis”. Altro inno, di particolare intensità emotiva, era “l’Exsultet iam angelica turba caelorum “. A proposito riporto il ben noto verso: “O felix culpa quae talem ac tantum meruit habere Redemtorem!” Non vogliatemene per aver riportato reminiscenze che sanno di Latino; me ne scuso. La mattina di Pasqua si consumava un’abbondante colazione (un pranzo in piena regola): dolci tradizionali, lonza, anche coratella d’agnello soffritta in padella con cipolla. In ottemperanza al precetto della Chiesa “Confessarsi almeno una volta all’anno e comunicarsi a Pasqua”, le chiese (parrocchia e basilica di S. Giuseppe) erano gremite; lunghe le file ai confessionali, grande il lavoro per i confessori. Oggi, tale lavoro si è alleggerito di molto. Nella messa cantata si eseguiva la “Missa pontificalis”, a tre voci, del grande compositore Lorenzo Perosi. Dirigeva il maestro Trifogli. Particolarmente atteso dai ragazzi, dai giovani, il giorno di Pasquetta. Ci si recava a piedi nelle località di S. Paolo, Pallotta, Portelli, per la merenda. Si facevano giochi innocenti in grande allegria. Gli innamorati, nell’assoluto rispetto della tradizione, che possiamo definire atavica, se ne andavano per fratte. Da Nepi arrivavano i nostri cugini nepesini, che si accampavano nell’uliveto del santuario, adiacente all’oratorio: balli, canti accompagnati dal suono di una fisarmonica e tanta gioia di vivere! Concludendo, lascio a voi imbastire un confronto tra quel mondo contadino e pastorale di allora, dove il poco era molto, e quello di oggi sicuramente diverso per molteplici aspetti. Buona Pasqua a tutti ed una spensierata e felice Pasquetta. Con grande affetto, un particolare saluto per i miei ex.
VENERDI SANTO PRFESSORE GUERRINO MARTELLINI 18.04.2014
Venerdì Santo…campane “legate” e suoni di “regole”. La liturgia cattolica vieta il Venerdì Santo , e parte del Sabato Santo, il suono delle campane. In sostituzione una ciurma di ragazzi, armati di regole, andavano per il paese a scandire l’ora di mezzogiorno. Cosa erano le “regole”?Si prendeva una tavola di modeste dimensioni,vi si applicavano due ferri girevoli. Per maggiore chiarezza, chiedete spiegazioni ai vostri nonni o padri non più giovani. Manipolando la tavola,…si produceva un frastuono tale che veniva avvertito da tutta la popolazione. Si partiva dalla chiesa parrocchiale, ci si fermava circa ogni cento metri. C’era il capobanda, generalmente un ragazzotto, che dava il segnale alzando la regola e gridando:” So…name..zzogiorno..”. E tutti noi a brandire il nostro arnese. Si provava una forte emozione, pari a quella di chi tira al massimo l’acceleratore della propria moto. Il transito delle auto? Inesistente.Anche quello era un modo per divertirci. La Pasqua era attesa per le ciammellette, per la pizza pasquale, per i freddoni, per la lonza. A proposito dei freddoni, sono un dolce esclusivamente castellese, di rara bontà, molto apprezzati nei paesi vicini. Vorrei parlarvi di altre tradizioni pasquali come la benedizione delle case, la colazione ed il pranzo del giorno di Pasqua, riti religiosi. Sarà per un’altra volta. Il lunedì dopo Pasqua era il giorno più atteso:si lasciava il paese per andare nei campi a goderci le meraviglie della primavera.
Pagina aggiornata il 11/10/2024