Descrizione
Risulta interessante, in questo incontro, parlare dei processi di antropizzazione del nostro territorio per meglio comprendere la soglia dove LA RAGIONE FISICA ha modellato QUELLA UMANA, e dove l’uomo, costituitosi in società via via con un più alto grado di complessità, ha modellato QUELLA FISICA.
Il PERCORSO risulta essere il primo fattore del processo di antropizzazione , cioè l’elemento chiave sul quale si è poi andata organizzando la struttura territoriale.
In fasi successive il percorso diversifica e gerarchizza gli insediamenti, in funzione del rapporto posizionale, così come è espressione di scambi tra varie esperienze.
Questo ha significato partire dal considerare le più arcaiche forme di nomadismo, quando i percorsi migratori non rappresentavano una vera e propria traccia permanente, causa i frequenti dissesti morfologici e climatici che, probabilmente contribuivano a ritardare il consolidamento di una piena presa di coscienza spazio-temporale.
E’ presumibile che queste popolazioni, in origine, si unissero secondo gruppi più o meno numerosi di famiglie, in distretti consorziali per provvedere ad interessi comuni quali : la difesa, lo sfruttamento delle risorse territoriali, il culto degli Dei protettori della stirpe.
L’uomo, dunque, in origine non sceglie un sito stabile, ma comincia a legarsi ad ambienti stagionali.
Fattore determinante, in questo lento progredire, fu il passaggio dalla esclusività della pastorizia all’agricoltura: la tecnica è primordiale e la conseguente stabilità sul territorio risulta necessariamente precaria, così come è legata alla fertilità temporanea del luogo.
L’immagine di uno di questi abitati, quale doveva apparire nelle nostre zone, nella prima metà del bronzo finale, può essere significativa per darci una idea, per quanto vaga, anche dell’aspetto culturale: siamo ancora lontani dal concetto di città ed i gruppi di capanne si estendono nella vastità del territorio, tendendo quindi a raggrupparsi solo dove convergono determinate condizioni di sicurezza e comuni interessi di vita.
Nascono così i primi insediamenti stanziali che ancora oggi definiscono e caratterizzano, con la forza dei segni tuttora riconoscibili, anche il nostro territorio.
Tali insediamenti costituivano vere e proprie UNITA’ PARA-AUTONOME, anche se ancora probabilmente a carattere patriarcale.
Essi si arroccarono , in PAGUS fortificati, su agropoli naturali isolate da burroni.
Si viene così a delineare , sull’intero territorio agro-falisco una distribuzione della popolazione per “PAGUS” i quali, vivendo di un medesimo mondo economico, religioso, politico, si raggruppavano, secondo distretti territoriali ben delineati, in un luogo che dava concrete garanzie di sicurezza.
E’ in questi siti, dove ancora oggi si conserva la forma primitiva dell’INCASTELLAMENTO; luoghi di difesa e centri di politica territoriale: NON ANCORA VERI E PROPRI CENTRI ABITATI, MA CIASCUNO AVENTE IN SÈ IL GERME E LA POSSIBILITÀ DEL DIVENIRE URBANO.
L’agglomerato più importante non si sviluppa a macchia d’olio, per naturale incremento demografico dell’incastellamento comune, ma si accresce per l’abbandono dei villaggi in favore della posizione che, anche in una logica viaria, è a più immediato contatto con il centro principale.
Nel nostro territorio sono presenti numerosi di questi villaggi, quali:
- Pizzo di Jella
- Castel S.Elia
- Nepi
- Calcata
- Selva d’Ischi
- Castel d’Ischi
- Isola Conversina
- Ponte Nepesino
- Castel Porciano
- Castel Fojano
- Castel Paterno
Castello di FilissanoLa straordinaria integrità conservativa di alcuni di questi siti, unitamente ad un inalterato contesto ambientale, consente in analogia, la individuazione e la lettura della primitiva conformazione urbanistica degli attuali centri abitati dell’Etruria meridionale.
Nei primitivi villaggi ricadenti sul territorio, ancora è leggibile e integra quindi LA PRIMITIVA FORMA DELL’INCASTELLAMENTO.
I villaggi, ubicati su sperori tufacei, presentano una difesa costituita da UNO o DUE FOSSATI ( VALLI) scavati nel tufo e da una cinta muraria costruita in periodi successivi.
Non sappiamo se l’attraversamento del largo e profondo fossato era costituito da una lingua di tufo o da una passerella in legno.
Il PAESAGGIO NATURALE influenza l’uomo fattosi costruttore, così come pure i materiali aiutano a creare una integrazione fra manufatti e ambiente, in perfetta simbiosi che, anche se causale, raggiunge spesso connotazioni difensive e, quindi, di mimesi.
La NATURA, quindi, valutata come unica elargitrice di materie prime per la realizzazione dei manufatti, ha esercitato una influenza diretta sull’architettura di questi luoghi: IL TUFO, QUESTO STRAORDINARIO MATERIALE VULCANICO, AFFIORANTE, RESISTENTE, COMPATTO ED ECONOMICO, È LÀ A PORTATA DI MANO, PER ESSERE LAVORATO, INTAGLIATO, SCAVATO.
Nell’interno, il sito presenta nuclei abitativi scavati nella roccia tufacea e, in qualche caso, ricavati su più ordini.
Gli ambienti ipogei, ( completamente scavati nel tufo) , anche per esigenze climatiche, presentano una pura regolarità geometrica in particolare nell’attacco pareti-soffitto.
Il perfetto taglio e trattamento delle superfici picchiate insieme alla ricercatezza architettonica dello spazio, arricchito da un pilastro centrale di forma quadrangolare terminante con una primordiale forma di capitello, denota una grande maturità architettonica; CIÒ RIMANDA A POPOLAZIONI “ AUTOCTONE O IMMIGRATE”, lasciando comunque aperto l’interrogativo sulla esatta datazione storica di questi siti.
Tali insediamenti, in parte abbandonati nel PERIODO ROMANO, furono ripresi nell’ ALTO MEDIOEVO portando nuovamente la vita su quei pianori circondati da dirupi, lontano dalle insidie delle vie consolari e collegati tra loro per mezzo di scoscesi tratti viari e diverticoli.
Certamente gli abitanti dei BORGHI ALTOMEDIEVALI avevano sotto gli occhi quanto già realizzato in epoche precedenti, ma le esigenze di quell’esordio, appena dopo il MILLE, erano nuove e ben diverse.
Si dovevano innanzi tutto scavare o recuperare: magazzini sotterranei, cunicoli verticali e orizzontali pozzi-silos, per la conservazione e la provvista del grano e di altre simili derrate alimentari; ed infine ricavare nel suolo, centinaia di piccole scale, fori di ancoraggio per palizzate e castelli, incassi per fissare a terra delle tettoie, e per il bestiame, asole-occhielli per legarli, nicchie e mangiatoie per alimentarli; poi ancora, lungo il fiume, realizzare vasche per lavare panni, conciare pelli, e macerare canapa e lino.
Non a torto il professor Guidoni questo tipo di organizzazione la definisce CIVILTA’ DEL TUFO.
Il ciclo vitale di questi insediamenti fu relativamente breve; la maggior parte di questi villaggi fu abbandonata o distrutta tra la seconda metà del XIV ( quattordicesimo) secolo e il XV ( quindicesimo) secolo.
CONCLUSIONI
In merito ai siti presenti sul nostro territorio, sappiamo poco, data la estrema rarità delle notizie storico-archeologiche e la mancanza di specifiche ricerche sistematiche di scavo.
Lo studio dei resti di questi abitati, diventa fondamentale per comprendere al meglio l’evoluzione morfologica e tipologico dei centri minori del Lazio: esso ci mostra, quale fosse lo stato originario dell’insediamento, senza aggiunte e addizioni posteriori.
Visitandoli, la sensazione e quella di assistere ad un “ FERMO STORICO” dove la integrità ambientale dei luoghi si fonde con l’artefizio umano rimasto, quasi per incanto, allo stato primitivo.
Nell’INSEDIAMENTO DELL’ISOLA CONVERSINA ( TORRE DI STROPPA) è sorprendente pensare che al di fuori della Torre e della Chiesa ( peraltro oggi in avanzato stato conservativo) , non vi fossero altri edifici in muratura; le abitazioni del villaggio erano costituite da grotte o da capanne di legno e di paglia, rizzate su fondi scavati nel tufo: QUALCOSA DI SIMILE AD UN INSEDIAMENTO DELL’ETÀ DEL BRONZO.
Non si vuole, con questo, sostenere che tutti i centri del Lazio, prima del XIV secolo, non ebbero un tessuto urbano e delle tipologie edilizie: Tarquinia, Tuscania, Viterbo, le stesse cittadine di Nepi e di Civita Castellana ne sono un fulgido esempio.
Ma , si può affermare che, l’ AGRO FALISCO a causa di una particolare depressione socio-economica che subì nei secoli cruciali dello sviluppo dell’età del MEZZO, fu popolato “ ANCHE” dai villaggi di povere capanne e grotte.
Nei nostri attuali centri abitati (Calcata,Castel S.Elia, ecc.) sotto il limite dello sperone tufaceo, emergono strutture, pozzi e grotte da riferirsi , parimenti, alla fase iniziale di questi insediamenti.
Una esplorazione e uno scavo archeologico in collaborazione con le Soprintendenze, le Università e con tutti gli altri organismi culturali operanti nel territorio, POTREBBERO RISERVARE DELLE SORPRESE E METTERE IN LUCE UNA STRAORDINARIA CONTINUITÀ STRATIGRAFICA DALL’ETÀ DEL BRONZO SINO A TUTTO IL CINQUECENTO, fornendo così dati preziosi sull’industria delle ceramiche o il tipo di alimentazione di questi antichi abitatori, addivenendo nel contempo ad una più attenta lettura conoscitiva dei siti e ad una migliore conservazione nel nostro patrimonio storico – artistico e ambientale.
La iniziativa presuppone da parte di tutti un impegno e una capacità di comprendere al meglio come l’uomo HA FORGIATO QUESTO MERAVIGLIOSO PAESAGGIO; NONCHÉ DI SPIEGARE PERCHÉ, IN TERMINI DI STORIA EUROPEA, I NOSTRI LUOGHI, ANCORA DEL TUTTO DA SCOPRIRE, HANNO IN SÉ QUALCOSA DI SPECIALE E DI UNICO.
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