Professore Guerrino Martellini 03.09.2017
S. ANASTASIO. Per la Chiesa la festività liturgica di un santo ricorre nel giorno della sua morte. Tale giorno viene riportato nei calendari. Un santo tale perchè ha praticato in vita, in modo eroico, le virtà cristiane; pertanto non doveva sostare nel Purgatorio ad espiare nel crogiuolo le pene dovute ai peccati. Ho fatto questa premessa, perchè l’11 di gennaio ricorda il passaggio a miglior vita del nostro santo. Infatti, (non sono in grado di dirvi fino a quando), nel nostro paese la festività  liturgica veniva celebrata in questa data. Si sa, nel pieno inverno, nel mondo contadino c’era ben poco da festeggiare. La festa fu portata al 3 di settembre, giorno in cui nel calendario viene riportato il nome di S. Gregorio Magno Papa (590-604), il quale nei suoi “Dialoghi” ricorda le figure dei Santi Anastasio e Nonnoso.
Breve cronistoria di come eravamo. La ricorrenza era particolarmente attesa, aveva una valenza economica e sociale. All’inizio del mese di settembre si era già provveduto alla raccolta dei legumi (fave, ceci, lenticchie, fagioli, cicerchie). In casa erano sistemati i sacchi di grano, una garanzia per l’inverno. Il detto era:” Se non hai grano, nun magni!” Ad una economia di sussistenza, (si lavorava per mangiare), un valore aggiunto di grande rilievo erano la raccolta e la vendita delle nocciole. Si raccoglievano i ricci ancora verdi, poi le nocciole venivano essiccate al sole. Vi fornisco qualche cifra su cui ho voluto accertarmi: un quintale di nocciole negli anni ’50 veniva pagato circa lire 25.000, era una mensilità  di tipo medio. Due, tre quintali di nocciole per molte famiglie castellesi erano un piccolo tesoro che dava una sicurezza economica, seppur modesta, per l’intero anno. C’era chi ne produceva ben di più. Molti di noi ricorderanno come la Valle Suppentonia, in ogni suo angolo, fosse coltivata a nocciole. Da ragazzi si tornava nei noccioleti a fare la “cerca”: si raccoglievano le poche nocciole non raccolte. Eravamo pienamente soddisfatti quando se ne portavano a casa pochi chili. Le bancarelle erano in attesa.
Sul piano religioso la festività  era preceduta dal triduo; la chiesa parrocchiale ogni sera era strapiena, Oggi molti ignorano il rito religioso di preparazione alla festività  liturgica. La processione notturna della vigilia, ancora oggi, conserva il suo fascino. possiamo dividerla in segmenti secondo una sottintesa gerarchia. Aprono la processione le due file di bambini accompagnati dalle suore, seguono le donne e le confraternite con le loro caratteristiche livree, una volta numerose; segue la banda, al centro il clero ufficiante che precede l’urna con resti del Santo; seguono le autorità  civili. Chiude la processione la gente comune. Quando ci si immette nel tratto di strada (una volta era il vecchio piegaro ciottoloso), che conduce alla basilica di S. Elia, si viene avvolti dalla magia della Valle Suppentonia. Il buio della valle rotto dalle torce flambeau, l’eco dei canti religiosi, il suono della banda avvertito a molta distanza creano un’atmosfera che sa di mistero, che ci porta dietro nel tempo, in quel mondo che fu degli Etruschi, dei Romani, dei primi eremiti cristiani, dei monaci benedettini. Che dire dei nostri antenati, pastori e caprai, (era questa la loro qualifica), che percorrevano la valle per lungo e per largo? Concedetemi un particolare: una volta la Valle Suppentonia, per l’intera estate, era avvolta da sciami di lucciole, ora letteralmete scomparse probabilmente a causa dell’inquinamento. Che tristezza. Ancora oggi, per l’intera notte, nella basilica si organizza una veglia di preghiere. Al mattino del giorno 3 settembre l’urna con i resti del Santo viene accompagnata dai fedeli nella chiesa parrocchiale. A proposito dell’urna fornisco brevi notizie. Nel 1776 nella cripta della Basilica furono identificate le spoglie dei Santi Anastasio e Nonnoso. Le ossa dei due santi furono riposte nell’urna che oggi noi possiamo ammirare. A mio modestissimo parere è di ottima fattura, anche di particolare pregio dal punto di vista propriamente artistico, diciamo pure, è un autentico tesoro.
Una volta le feste erano particolarmente attese non solo per il loro significato religioso, ma specialmente perchè era un giorno di riposo, poi si mangiava con gusto, abbondantemente e diversamente dagli altri giorni. Particolarmente attivi erano i forni pubblici. I dolci erano le pastarelle, i buschettini, le ciambelle. Al macello si acquistava carne per il brodo. La sera della festa il lesso veniva ripassato con patate e pomodoro. Si faceva gran festa alla porchetta e all’anguilla marinata; i bambini la facevano al gelato e alla fetta di cocomero.” O geletaro” era Dante Martellini che aveva appreso l’arte a Roma in via Merulana in un bar frequentato anche dai tedeschi; siamo nella seconda guerra mondiale. Il suo era un gelato autenticamente artigianale composto da limone, cioccolato e crema. Chi vendeva il cocomero era ” o tabaccaro Giggetto”. Un fascino avevano le bancarelle. Si vendevano noccioline, liquirizia. lecca-lecca, mosciarelle, fainelle (carrube). Ricordo le “pallette” con l’elastico, erano di due tipi: una di stoffa con i colori della nostra bandiera, l’altra di panno vellutato per questo detta “mariapelosa”. C’era “a trombetta”, al soffio si allungava poi si ritraeva; era chiamata lingua di suocera. E gli uomini? Logorati dalla fatica per la falciatura, mietitura, trebbiatura e da altro, riempivano le osterie. Luogo di ritrovo erano anche le cantine, dove si pasteggiava a porchetta e ad anguilla marinata. Lascio a voi immaginare le conseguenze. A questo punto mi piace ricordare qualche personaggio caratteristico del nostro paese. Uno di questi era Giuannino o pesciarolo. Una volta la settimana andava per le vie del paese a vendere il pesce. Il suo grido era: “Pesce fresco…!” Per la festività  di S. Anastasio si sistemava in Piazza fornito di una friggitrice artigianale. Indossava un camice bianco, cosa rara per quei tempi. Offriva baccalà  fritto e patate fritte, un’autentica specialità. Era un uomo, si può dire, di moltiforme ingegno. Era capace di costruire anche violini. Il nostro paese ha sempre vantato comici di razza. Ricordo con affetto e simpatia Caporale, abilissimo nel mimare con gesti e con la voce i fuochi d’artificio. Il clou della giornata era la tombola. L’arrivo dei nostri cugini nepesini è ancora oggi molto gradito. Il suono della cornetta era il segnale d’inizio. Vinta la cinquina, l’annunciatore declamava: “E’ stata vinta ‘a cinquina, ce ric’è a tommola!” La festa si chiudeva con il lancio del pallone accompagnato dalla ben nota, popolare e sempre allegra marcetta della banda. Grande era la felicità  di noi bambini! I fuochi artificiali davano la buona notte. Era questa la festa del nostro Santo Patrono “Nistasio”.l Concludendo, avevamo poco ma tanta era la gioia di vivere!
PROFESSORE GUERRINO MARTELLINI 12.09.2014
12 settembre… “festa d’a Madonna de Castello”. La festività religiosa è molto sentita dalla nostra gente. Oggetto di particolare venerazione è l’immagine sacra conservata nella Grotta ad Rupes. Colpisce la dolcezza del volto della Madonna, che siede su un seggiolone appena visibile mentre, quasi in estasi, contempla il Bambino addormentato sulle sue ginocchia. Non si hanno notizie sulla storia del dipinto; pare che risalga al secolo sedicesimo. Senza alcun fondamento, da qu…alcuno viene attribuito al Sassoferrato (1609-1685), definito il “Raffaello delle Madonne”. Nel 1896 il pittore romano Gonella restaurò la tela trasportandola su un’altra. A questo punto fornisco una notizia, che ritengo di particolare interesse storico, tratta dal libro “Castel S.Elia”, autore don Domenico Antonazzi, il quale sicuramente ha attinto all’archivio parrocchiale. Egli scrive:” Durante i lavori di ampliamento della Chiesa Parrocchiale(1736-1742), i quadri esistenti furono consegnati ai sacerdoti del luogo. Uno di questi quadri fu provvidenzialmente riposto nella grotta dove attualmente si venera ed è l’immagine della Madonna ad Rupes. Era una grotta allora senza precedente storia, alta appena due metri: poteva solo servire per riporvi i poveri attrezzi agricoli: il terreno antistante era di proprietà della Parrocchia. La grotta non aveva la possibilità di un umile alloggio; ma quell’immagine, della Vergine in adorazione del Figlio, cominciava ad attirare i fedeli del luogo.” Chi ha valorizzato e dato un forte impulso al santuario fu il francescano tedesco mons. Doebbing, vescovo di Nepi e Sutri (1900-1916), personalità di grandi meriti ( fu lui a dar vita all’asilo di Castello, grande conquista per quei tempi) e nello stesso tempo complessa, inviso ad una parte del clero probabilmente per il suo temperamento autoritario e teutonico. Fu accusato anche di essere una spia tedesca. Egli propose ed ottenne che il Santuario fosse gestito dai padri francescani tedeschi. A proposito mi piace ricordare una stupenda figura,Padre Ginepro, nel cuore di tutti i castellesi. Asceta, incarnava perfettamente il vero spirito francescano.Per saperne di più, chiedete notizie ai vostri genitori o ai nonni. Concludendo, anche il culto mariano nelle nostre terre si è affievolito. Ricordo, da ragazzino e chierichetto, quando al termine della processione del 12 settembre, le donne, spinte da una forte emotività collettiva,gridavano:”Viva Maria!.” Oggi l’evoluzione della specie umana ha portato ad altre forme di socializzazione. Non possiamo,però, credenti e non credenti, ignorare il nostro ricco patrimonio storico, religioso, anche artistico. Un saluto sempre caro a tutti i lettori.
Pagina aggiornata il 11/10/2024